Lori Scarpellini

Aria, acqua, terra e fuoco: il cosmo nell'arte e nella vita

Le necessarie variabili di Lori Scarpellini alla ricerca di senso

 

Uno scrigno ottagonale racchiude al suo interno l'intero cosmo, è luminoso e, potendo mettersi al centro, diresti di sentire le emozioni di tutto il creato.

La Tribuna degli Uffizi, voluta da Francesco I, figlio del granduca Cosimo, è un esempio elegantissimo di sincretismo alchemico; suggerisce una lettura in verticale e in ascesa: la terra, rappresentata dal pavimento in pietre dure, il fuoco dal rosso rivestimento delle pareti, l'acqua dalle madreperle che rivestono gli spicchi del poliedro e, infine, l'aria dalla rosa dei venti, lassù sulla lanterna di coronamento a contatto con l'esterno, fin dove l'occhio può arrivare, all'apice ma anche tutta intorno a noi e sopra, molto al di sopra di noi.

Lori Scarpellini, appassionato conoscitore di arte, sia essa antica che contemporanea, non è un caso se, quando ha deciso di spiccare il primo volo come artista originale e indipendente – sul finire degli anni Ottanta - si sia svincolato dalla maniera pittorica più tradizionale per giungere, guardando a Cézanne, a quella nuova concezione dello spazio e delle forme, ben al di là della semplice impressione del momento, per cogliere l'essenza più profonda del reale. Il pittore, inoltre, si è ispirato all'insegnamento e ai valori dell'arte di Anton Luigi Gajoni, dipingendo il paesaggio, la natura morta ed esercitandosi nel ritratto di figura. Spesso, con il ritmo della pennellata, ha costruito la forma mentre con il contrasto, tra la raffigurazione in primo piano e lo sfondo, ha esaltato la luminosità del soggetto. Evidente la sua adesione alla maniera del maestro, è a quell'attenzione al particolare figurativo sempre, però, 'trasfigurato', come ricorda Gianfranco Tognarelli che scrive nel 1973:”...la pittura di Gajoni nasce da un pretesto, da un’idea qualsiasi che in simbiosi contiene sia il contenuto che il fatto pittorico, e sarà attraverso quest’ultimo che si otterrà il superamento di entrambi fino ad arrivare al senso. Il suo vero è un vero astratto, non oggettivo, cioè nella sua opera ci sono i concetti della pittura astratta senza che ci sia peró dell’astrattismo... Ogni cosa è riportata per la sua forma collegata al suo senso…”; e Scarpellini, nutritosi dei modi d'oltralpe del maestro, ha colto quel senso, probabilmente al tempo celato ai più, e abbia fatto del superamento di materia, forma e contenuto, la strada maestra che lo ha condotto alla definitiva svolta degli anni Ottanta quando, nel suo percorso artistico, ha sentito, appunto, il bisogno di senso, di un proprio senso nel fare pittorico e ha abbandonato quel figurativo di grande attenzione ai mutamenti della forma e astratto, incentrato sulla disposizione degli oggetti nello spazio, sulla molteplicità dei punti di vista e sull'uso libero della prospettiva: il suo scopo di allora era, già quello di cogliere la struttura più nascosta della natura. Sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso, l'autore si mostra ancora interessato ai grandi artisti del passato, soprattutto quelli legati alla grande École de Paris. Del resto il maestro Antonio Luigi Gajoni era vissuto in sodalizio, come è documentato, con Fernand Léger, Francis Picabia, Jean Metzinger, Charles Lebrun,  Marcel Gromaire e fu vicino a Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Gino Severini, Filippo De Pisis, Massimo Campigli e altri. Lori Scarpellini riprenderà dai protagonisti del Novecento, mutuati dal maestro, ciò che ha senso per la sua personalissima ricerca. Vicino più a Savinio che non al fratello De Chirico, l'autore, cogliendo l'ironia insita nelle cose del mondo, pensa sia indelicato svelarne il mistero. Le sue figure si fanno alberi, tramonti, mare che a stento percepisci una scaturigine sensibile, partecipando di un'aura senza tempo né spazio.

Dal 1992 con l'inizio di una nuova fase pittorica Lori Scarpellini si è misurato con l'indagine dell'elemento acqua, tenendosi lontano, però, dal discalico 'modus' dell'arte visiva di rappresentarla esclusivamente attraverso le marine. Indagare con l'ausilio della pittura i quattro elementi più uno, è stato il suo punto di svolta per un nuovo inizio. Come capitava di pensare al principe dello studiolo, Francesco I de' Medici, l'arte è la vita; leggi interne e disposizione delle cose sono effetti di quella scintilla che ha generato il caos: la commistione dei quattro elementi più uno: l'anima mundi, l'etere, il quinto elemento. La sala ottagonale degli Uffizi, quindi, rappresenta la sintesi dei quattro elementi e rappresenta il cosmo, anzi un microcosmo, formato bomboniera. È la quintessenza di tutta la galleria, ed è la scintilla da cui tutto ebbe inizio

La Tribuna e la ricerca di Lori Scarpellini sono una possibile chiave di lettura per una pittura personalissima e indagatrice che fa tesoro degli insegnamenti della tradizione (quella della forza espressiva ed espressionista che trasmette emozioni e conoscenze via via acquisite) spingendosi ben al di là della semplice ricerca degli elementi perché, partendo da questi, l'autore riesce a trovare la chiave di volta per indagare e interpretare persino il cosmo. L'elemento primordiale con cui l'artista si cimenta per primo è l'acqua. Il primo ciclo (inizio anni Novanta) segna il suo cambiamento verso una scrittura accennata dove le figure rimangono, sì, ma come simboli iconici depurati da possibili tangenze con il reale; dopo aver ponderato gli insegnamenti del maestro, ha tolto alla figura umana la forma naturale a favore di un suo volgimento in icona, sintetica e intrisa di mutamento. La cerniera tra una maniera e l'altra è costituita dalle Entità vaganti (1987-1989): i soggetti si offrono al riguardante portando seco il mistero dechirichiano, talora manichini partecipano del sedimento della memoria di antiche civiltà, ne fanno parte, estraniandosi. Gli Astanti (1989-1993), sono ombre, sagome, piene del contesto di cui fanno parte quasi riaffiorasse la ricerca di Piet Mondrian quando afferma: “Dietro le mutevoli forme naturali si nasconde l'immobile realtà pura. Si devono dunque ricondurre le forme naturali a rapporti puri, immobili”.

Nel ciclo Acqua. Città del mare (1992 – 1997) le figure-non figure, posseggono cromie grigio-celesti e sono fatte della stessa sostanza liquida, ne fanno parte. Creature fuoriuscite dal mondo onirico e surreale di Scarpellini, stravaganti, come stravagante riaffiora lieve ricordo di un sogno subito al risveglio, per poi svanire e diventare il tutto di cui fa parte: non ha importanza dove siano, importante è che si manifestino. La tecnica utilizzata per questa narrazione visiva sull'acqua è senz'altro cinematografica, del montaggio di più inquadrature, nota al regista Sergej M. Ejzenstejn e colta e fatta propria da Gajoni: in primo piano l'autore inserisce una figura che costituisce la parte per il tutto ('pars pro toto') atta a stimolare nell'osservatore la ricostruzione di un intero a partire dalla propria sensibilità e dal proprio vissuto. Già in questo primo ciclo noto una tendenza al ritmo binario e alla musicalità tali da suggerire un doppio che si differenzia negli elementi di cui è composto o per forme o per colore; l'una parte rafforzando l'altra per meglio evidenziarla. Le composizioni così ottenute, con l'impiego di larghe campiture di colore sembrano suonare una musica dal ritmo spezzato. L'artista sa come catturare l'attenzione del riguardante giocando su richiami coloristici (il rosso, il giallo) forti e usuali anche quando il colore predominante, come in questo caso, è il blu che tutto assorbe e assomma in sé. Lori Scarpellini usa spesso i tre colori primari nelle ipotetiche vele che si frammentano e dipartono in un gioco pittorico strutturato alla maniera di Kandinsky dove “il rosso è un colore caldo e tende a espandersi; l'azzurro è freddo e tende a contrarsi...”. (Argan). Sicuramente anche l'autore è molto attento al valore spirituale della sua pittura e spezza la composizione con linee, cerchi e tratteggi che stimolano l'occhio del riguardante all'esplorazione del dipinto. Le Veneri di Scarpellini, quasi un 'leit motiv', sono enfatiche e geometriche, quasi pretesti antropomorfi per permettere all'osservatore di provare empatia: l'artista ha, così, creato una porta di accesso.

Nel ciclo Fuoco. Il pianeta blu è una strada nel sole (1994-1998) Lori Scarpellini continua l'indagine della scaturigine dell'universo considerando che la terra vista dallo spazio appare come un "pianeta blu", colore dato dalla superficie degli oceani che coprono circa il 71% della sua superficie ma anche in parte dovuto allo scattering di Rayleigh della componente blu della luce solare da parte dell'atmosfera terrestre. Simbolo della vita, della pulsione e della passione, il fuoco suggerisce all'artista epifanie sorprendenti: figure disposte a piramide, dove una si erge a protezione di altre due che si sfiorano delicatamente le dita, in una sorta di Sacra Famiglia contemporanea. Il numero tre sembra essere la soluzione più congeniale all'artista che riflette sulla forza e sulla sacralità di questo elemento latore di civiltà per l'uomo, dopo che Prometeo rubò una scintilla a Zeus per donarla agli uomini, ricevendo la terribile punizione dell'aquila. La ricerca vira, poi, sulle frequenze che la luce emanata dai raggi e dalle fiamme indirizza all'occhio e all'orecchio umani: in appartata solitudine vediamo e ascoltiamo.

Gli eleganti grafismi geometrici, quei triangoli disposti con ritmo che paiono soverchiare le figure, attonite per la potenza e la forza dell'elemento, sono parte di un racconto che parla di passione, energia e potenza; una nuova ricerca, dunque, che costituisce un vero e proprio ponte tra il ciclo dell'acqua e quello, successivo Terra. Geo-Isola nell'immenso spazio dell'universo (1997-1999), indagando infine la forza del fuoco come luce. Giallo, rosso e arancio dominano la scena e costringono le figure muliebri a ripensarsi, nelle forme e nella sostanza perché qui la ricerca di Scarpellini affronta la familiarità con l'habitat in cui l'uomo vive in rapporto all'universo stesso. Il microcosmo è narrato attraverso varie tonalità. La costante stilistica sono gli alberi che, insieme con le figure femminili, diventano un tutt'uno con la natura stessa. I paesaggi sono desolati o abitati, rivisitati sempre dalla particolare sensibilità dell'artista. Il colore è steso per larghe campiture e tendenzialmente è caldo e freddo (rosso e blu) provocando una reazione psichica nello spettatore particolarmente intensa.

Nell'ultimo ciclo della serie dei quattro elementi, Aria. Uno spazio libero verso il cielo (1999-2000), l'autore si lascia andare alla gestualità emotiva, ed emoziona lo spettatore compiendo una sorta di azione fisica sulla tela, per un risultato leggero e impalpabile, in movimento. L'elemento fa coppia con il fuoco perché ne condivide le polarità attive, maschili a differenza dell'altra coppia, Acqua-Terra, che condivide le polarità passive, femminili. L'Aria è “...l'elemento aereo simbolico del trasparente e del luminoso; è il mezzo della parola (tradizione filosofica indiana), del soffio vitale e della spinta all'ascensione”. E' invisibile ed è l'elemento associato al respiro e all'anima.

Per la sua stessa essenza l'Aria è inafferrabile: il primo respiro rappresenta l'ingresso dell'anima nel corpo mentre l'ultimo la sua uscita. Tra gli elementi è l'unico immateriale e per questo rappresenta il mentale, i pensieri inafferrabili e l'inconscio.

Lori Scarpellini, con pennellate sicure a formare vortici, virgole, volute, circoscrive il soffio in strisce colorate, per lasciarlo libero sulla tela, riflettendo sia sull'anima del mondo che sull'inconscio, pensando così all'aria in tutte le sue sfaccettature, non trascurando neppure il principio animatore, cioè il vento, il soffio trasparente e intangibile di Eolo che trasmette la vita ed è un velo trasparentissimo che lascia intravedere tutto ciò che c'è al di qua e al di là di esso.

L'autore si avvicina, così, alla concezione persiana e induista dove il vento costituisce il soffio cosmico, il principio di vita e di animazione degli elementi fisici (il cosmo, la natura) e spirituali (l'anima umana, l'anima del mondo). Il risultato è un tessuto narrativo pieno di senso che investe tutte le dimensioni dell'artista e del riguardante.

Lori Scarpellini negli anni Duemila ha proseguito la sua ricerca di senso, mettendo al centro la propria personalità umana e artistica, giungendo a una possibile interpretazione del cosmo nelle componenti a lui più congeniali: materia e movimento, sostenuti dal minimo comune denominatore di luce e colore. La Tribuna, completa dei quattro elementi, è ora un micro-cosmo pieno di senso. La ricerca dell'autore potrà continuare solo se l'uomo Lori intravederà nuovi orizzonti di significato da esplorare attraverso il suo amore per la bella pittura.

 

 

Giovanna M. Carli

Storico dell'arte, critico